lunedì 28 novembre 2011

trenta secondi di silenzio


fatemi una cortesia 
prendetevi il tempo di leggere tutto questo articolo


Accanto al letto un angelo coraggioso


La scritta recita: «Quando curi una persona più vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona puoi solo vincere»
CARLO PACCAGNINI*
TORINO
Tutto comincia dalla frase che vedete qui accanto. E’ rimasta lì appesa in silenzio dietro ai vetri di una porta per un anno, prima che mi accorgessi di lei. Poi, un giorno, mi fermo, la vedo e provo a leggerla: è molto difficile, ma riesco. Una cosa mi colpisce, in particolare. Questa scritta non è messa lì per chi, come me, passa nel corridoio, ma per chi esce dalla stanza: i medici, solo loro quando escono la leggono-aldritto e la leggono così: «Quando curi una persona puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona puoi solo vincere».

Stesso periodo, altra scena, notte, dormiveglia, si apre la porta con delicatezza, Lei entra, passi leggeri, molto leggeri, si avvicina a Lui, si china su di Lui, muove le mani, con sapienza, Lui si agita un poco, Lei gli parla con dolcezza, lo tranquillizza, si alza, e come è entrata, altrettanto silenziosamente se ne esce. Un angelo .. E’ solo un sogno, torno a dormire.

Mesi dopo, giorno, sempre nella stessa stanza, è l’ora della medicazione, Lei, sicurissima, lavora e muove le mani come se non fossero sue (un po’ come quando la nonna non guardava nel pizzicare gli agnolotti). Lui le parla, le racconta le difficili regole di un gioco di carte, Lei ascolta.

Continuano a parlarsi come se fossero a prendere il tè: in questo momento davanti a me c’è il tubicino del cvc che entra nel suo torace, è il momento più delicato, ad altissimo rischio di infezione (tremo sempre in questo momento quando tocca a me fare la medicazione, come una sensazione di sollevare-un-pocoil-velo che nasconde il pulsare della-vita).

Invece quei due... Come se niente fosse. Poi Lei, chiudendo le garze, dice «Cavolo, fossero tutti come te, così allegri e sereni, perché non mi accompagni nelle altre stanze a portare un po’ di buon umore?». Io rimango lì, inebetito e affascinato: in tutti questi mesi non sono mai stato buono a dirgli nulla, ma solo a pensare come fare a togliergli dalla faccia quello sguardo depresso! e invece Lei, in due secondi, non solo gli trasmette una risata, ma rilancia coinvolgendolo in potenziali-ulteriori-risate).

Terzo episodio: cambio di rotta, la malattia come sempre imprevedibile, ha svoltatosenza-mettere-la-freccia. I medici ci spiegano come pensano di proseguire. Al termine della spiegazione andiamo tutti da nostro figlio (che da due mesi è chiuso nella stessa stanza) per spiegargli il nuovo percorso.

Attori: nostro figlio, il medico, noi. Il medico gli spiega tutto e come sempre gli chiede se ha domande, Lui risponde di no. E il medico fa silenzio, una lunga pausa di silenzio, in camera non vola una mosca. Solo silenzio, noi molto imbarazzati: ok gli hai detto tutto quello che c’era da dire, chiudiamola qui... Trenta secondi di silenzio totale.

Il medico riprende brevemente a parlare, ripetendosi, senza aggiungere niente di nuovo. Poi ancora silenzio, altri trenta secondi di silenzio: un’eternità. Alla fine dei trenta secondi, nostro figlio fa un cenno e chiede: «Ci sarebbe la possibilità di una pausa a casa?». Era tutto qui, il medico sapeva e aspettava la domanda. Quella domanda.

Il dialogo (dia-logos), questo sconosciuto. Che lezione per noi genitori. Domanda: quante volte parlando con i nostri figli, siamo stati capaci di attendere in silenzio trenta secondi per permettere loro di elaborare e poter così tirarfuori-quello-che-avevano-dentro? nota: per capire quanto sono lunghi trenta secondi di silenzio ho provato a raccontare questo episodio facendo io una pausa di silenzio di 5-6 secondi dopo aver detto «e il medico gli chiede se ha domande». L’interlocutore mi guardava come se fossi diventato scemo (provare per credere).

Siamo al quinto piano dell’Ospedale infantile Regina Margherita di Torino, reparto di Onco-ematologia. Insieme a mia moglie, abbiamo cercato di spiegare con tre brevi esempi come tutto-ilpersonale di un ospedale pubblico si stia prendendo cura di nostro figlio: queste parole, scritte al termine di una tappa di alcuni mesi, di un percorso che prosegue ora in Centro Trapianti, vogliono testimoniare il nostro «grazie» a tutti quelli che stanno dedicando la loro esistenza per la vita di nostro figlio, dei nostri figli.

Medici, infermiere, oss, addetti alle pulizie... Tutti, in ciascuna struttura del reparto (degenza, ambulatorio, DayHospital, Centro-Trapianti), si dedicano ai nostri figli con grande professionalità (e questo, in un centro d’eccellenza, ce lo aspettavamo), ma, ci preme sottolineare, ciascuno sa (è co-sciente) che il suo ruolo è indispensabile per la vita dei nostri figli.

Questo approccio, non arriva dall’alto, non si inventa sui due piedi ne è frutto del caso, ma mostra con chiarezza una strategia che arriva da lontano: più approfondiamo, più scopriamo che da anni tante persone hanno lavorato con entusiasmo professionale per far crescere questo reparto, questo centro che a noi piace chiamare «incubatore-di-vita», dove non si è un numero ma ciascun piccolo paziente è sempre chiamato, per nome e con un sorriso.

Dove tutte/tutti si muovono per cercare il Suo benessere, sempre, giorno-e-notte. Un luogo dove tutti/tutte «danzano» per accompagnarlo verso la vita. Ci piacerebbe infine sottolineare in modo particolare, la presenza delle infermiere giovani che amano, coccolano e curano i nostri figli (neonati o a d o l e s c e n t i , bianchi o neri, ricchi o poveri,), portando nel cuore, dei loro venticinque anni, il desiderio che tutti ce la facciano.

Tornando alla frase iniziale appesa al contrario sulla porta dello studio dei medici: «Quando curi una persona puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona puoi solo vincere».

Questa frase, scritta al contrario, di difficile lettura per noi che veniamo dall’esterno, sembra quasi dirci che è volutamente incomprensibile per chi la legge-da-fuori: per accorgersene e comprenderla ci vuole tempo. O forse soltanto un sorriso.

*L’autore di questo articolo è il padre di un bambino ricoverato al Regina Margherita
 

non perchè ci tenga particolarmente a farvi venire il "magone"

(a me almeno è venuto) 

ma perchè ho pensato che io non ce l'ho quasi mai
l'attenzione di aspettare 30 secondi
per lasciare all'altro lo spazio di dare una risposta
e poi trenta secondi possono essere lunghissimi 

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detto questo avrei un'altra perplessità

ma se con l'amaro averna decolla la serata
che cosa succede quando si spengono le candeline
delle lanterne cinesi 

non ci staranno mica dicendo che se passi tutta la serata con l'averna
il mattino dopo ti svegli come se avessi tutte le ossa rotte 

lunedì 21 novembre 2011

scaglietti

è morto scaglietti ....
che per chi non ama le belle macchine non dice molto
ma lui le "scolpiva" a martellate certe opere d'arte
quando non c'erano i pc ..... e nemmeno i programmatori cad

sul sito della ferrari non c'è ancora una nota
povero .... dichiarò di essere morto insieme al suo grande amico enzo 
e invece gli è toccato anche vedere la gestione montezemolo 

un minuto di silenzio per un grande della mia terra

mercoledì 2 novembre 2011

un giorno per i vivi

jari scrive libri e insegna scherma antica
più qualche altro lavoro che gli garantisca entrate regolari

il 23 ottobre sulla sua bacheca di facebook ha scritto
"io manco sapevo chi fosse Simoncelli"
e a dire il vero nemmeno a me il nome diceva molto
fino a quando non ho visto la foto .....

poi tutto quel dolore in diretta 
tanti messaggi su f.b.
tanti che hanno sostituito la loro foto 
con quella di simoncelli o con il suo numero di gara 
e poi tutti i video in memoria con le immagini che scorrono
e vasco rossi che canta le sue canzoni preferite

ci siamo già passati tutti tante volte 
anche per la morte di persone più vicine 
e a me resta l'amaro in bocca 
e una domanda ........

.... ma tutte queste cose carine
le avevamo palesate anche prima 
cioè siamo proprio sicuri di conoscere davvero 
la canzone preferita delle persone a cui vogliamo bene
o che loro sappiano qual'è quella che tutte le volte ci fa pensare a loro 

non sono mica tanto sicura ........ 
... sarà mica che oltre a dedicare un giorno ai morti
sarebbe bene dedicarne uno a questo ....